Stai progettando un viaggio nella splendida Roma per scoprire il patrimonio storico, artistico e gastronomico-culturale della Città Eterna? …anticipiamo che è impossibile visitare “La Grande Bellezza” e resistere alle succulente specialità.

La Cucina Tradizionale Romana ha origini molto antiche, strettamente collegata alle vicende storiche, culturali e religiose della città, basata su prodotti locali, dai sapori rustici e tradizionali.

Nella Roma Imperiale (509 a.C. | 27 a.C.) e Repubblicana (27 a.C. | 476 d.C.) la cucina del volgo poteva contare solo su un unico pasto giornaliero, costituito da: cereali (frumento e orzo), ortaggi, legumi, erbe lassative ed olive; nello stesso periodo, chi poteva permetterselo, divideva la giornata in tre pasti, i primi 2 semplici e frugali:

Prima Colazione (“ientaculum”) spesso gli avanzi della sera oppure prodotti a base di focacce, miele e vino;

Seconda Colazione (“prandium”) consumata in piedi che prevedeva: legumi, fichi, olive, alici in salamoia, formaggi di pecora o di capra, spiedini a base di carne o pesce alla griglia, il tutto accompagnato dal “mulsum”, bevanda di vino miscelata al miele;

la Cena, la “coena” è la curiosa consumazione dei ricchi che poteva durare anche molte ore allietata da canti, danze e musica. Inizialmente la padrona di casa allestiva i banchetti con l’aiuto delle schiave, in seguito fanno bella comparsa i cuochi (“coqui”) che si facevano aiutare in cucina dai “culinarii”, poi i pasticceri (“pistores”) e gli addetti ai fornelli (“fornacarii”). Sul tavolo, posizionato nella stanza da pranzo, erano disposte le vivande e attorno le sedute (“lecti tricliniares”), destinate a celebrare il “rito” della cena. I commensali consumavano il cibo sdraiati sui triclini, con il gomito sinistro poggiato sul cuscino, il piatto tenuto con la mano sinistra, mentre con la destra si portavano alla bocca le pietanze. Di solito gli ospiti che partecipavano alla “coena” erano in nove o multipli di nove. I ceci aprivano il pasto serale ed erano proposti caldi, in ciotoline di coccio, e conditi con olio. Le portate che seguivano erano a base pesce, carne, frutta e dolciumi. La serata continuava con il simposio, in cui alla mescita di vino solitamente annacquato, si accompagnavano cibi piccanti che stimolavano la sete.

In epoca romana l’olio d’oliva era già diffuso e veniva utilizzato oltre che per l’alimentazione anche per uso medico e per l’illuminazione. Al tempo, questo meraviglioso prodotto, veniva importato dalla Baetica (odierna Andalusia) e dall’Africa settentrionale. Le anfore utilizzate per il trasporto, hanno formato in circa tre secoli una collinetta artificiale: il Monte Testaccio, detto appunto “Monte dei Cocci” un sito archeologico unico nel suo genere. Non può mancare di essere citato il celebre generale romano Lucio Licinio Lucullo (117 ac – 56 ac) a lui è riconducibile il detto: “tavola luculliana”. E’ passato alla storia per la predilezione della buona tavola e per l’arte del banchettare oltre che per quella delle armi e dello studio. Possedeva una splendida villa alle falde del Tuscolo dove si dilettava ad invitare amici, quali Marco Tullio Cicerone e Catone l’Uticense (…di quest’ultimo Dante Alighieri ne farà il custode del Purgatorio nella Divina Commedia). Lucullo prima di deliziare i suoi ospiti con i suoi sontuosi e sofisticati conviti, dove il vino Tuscolano era servito senza riserve, mostrava la sua fornitissima biblioteca.

La storia della Cucina Romana più recente oltre ad essere influenzata dalle regioni confinanti, viene tramandata di generazione in generazione in ambito familiare, conservando ancora la semplicità di cucina popolare, di derivazione rurale e contadina grazie alla prosperosa e fertile terra del Lazio da cui nascono piatti tipici, a base di verdure e legumi, ottenuti con prodotti genuini e di prima scelta protagonisti in diverse pietanze appetitose come:

le Puntarelle alla Romana, un particolare tipo di cicoria tagliate in strisce lunghe e sottili, servite a crudo con una salsa a base di olio, aglio e acciughe.

Ph Susanna Guidi @susannaguidi54

Le patate con cui si realizza la deliziosa Frittata di Patate considerata da sempre, nell’immaginario popolare collettivo, un piatto economico. Per la sua esecuzione, non è previsto l’utilizzo di uova bensì: patate, cipolla gialla, peperoncino pomodoro pelato, olio extra vergine di oliva, sale pepe e vino bianco secco (Frascati).

Ph Instagram Giorgio Fosci @dirtyfigUn

piatto decisamente invernale, derivante dalla gastronomia povera romana, è rappresentato dai Fagioli con le Cotiche una proposta tanto semplice quanto ricca di sapore. In questo caso il taglio di carne utilizzato è la cotica ovvero la cotenna del maiale un pezzo di scarto che diventa l’ingrediente fondamentale del famoso piatto romano.

Il Broccolo Romanesco, con le sue caratteristiche “cimette” ad alberello di Natale insieme alla Zucchina Romanesca con la superficie rugosa e dall’aspetto corto e spesso, vengono utilizzati per realizzare uno dei piatti delle feste: il Fritto Misto alla Romana che vede l’utilizzo di un mix di verdure di stagione e alcuni tagli del vitello.

Broccolo Romanesco

Il carciofo romanesco  è un prodotto IGP, ingrediente principe della cucina del territorio e fiore all’occhiello dell’ortofrutta laziale nella varietà della ‘mammola’, anche detto ‘cimarolo’ è privo delle classiche spine. Questo ortaggio è stato introdotto in Italia nel XV secolo, ad opera degli arabi. E’ presente in due ricette romane molto antiche: i Carciofi alla Giudia di ispirazione ebraica che ha fatto la sua comparsa nel ghetto della capitale intorno al XVI secolo e la ricetta consiste nel friggere il carciofo, dopo averlo tornito ed allargato le foglie ed immerso in olio bollente fino a che il cuore non si sia cotto (circa 8 minuti), successivamente si procede ad innalzare la fiamma per renderlo croccante.

Carciofo alla Giudia

Il Carciofi alla Romana invece si cuoce l’ortaggio in un tegame a fuoco medio per circa 30 minuti, con un ripieno di aglio, prezzemolo e mentuccia romana, all’interno.

Entrambe le ricette prevedono la cottura del carciofo intero e ciò che distingue le due ricette è la modalità di cottura.

Carciofi alla Romana

Una pietanza fresca e gustosa che celebra la primavera è la Vignarola, composta da una combinazione di ortaggi di stagione: fave, piselli, carciofi, lattuga, cipolle novelle e guanciale. Questo piatto può accompagnare la pasta o essere presento nella versione tradizionale in zuppa per meglio assaporare il sughetto se si intinge del pane.

Ph Instagram Jennifer Wilkin Penick @jenniferindc

La cucina Romana è conosciuta soprattutto per i piatti a base di pasta.

I primi piatti più conosciuti al mondo vengono definiti la “Trinità Romana“:l’Amatriciana, la Cacio e Pepe e la Carbonara.

La preparazione originale degli spaghetti o Bucatini all’Amatriciana (o matriciana come viene spesso pronunciata in dialetto romanesco) prevede l’impiego di listarelle di guanciale soffritti cotte in padella con olio (in alcune varianti con l’aggiunta di cipolla e peperoncino), sfumati con vino bianco secco (Frascati) ed aggiunti i pomodori pelati e portato tutto a cottura. Dopo aver tirato la pasta al dente e ripassata nel sugo viene spolverizzata con pecorino grattugiato al momento. Questa pietanza è stata importata dagli amatriciani nella Capitale. Amatrice è un piccolo borgo Laziale (un tempo città abruzzese) sede del Polo Agroalimentare del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, eletta tra i “Borghi più belli d’Italia”, purtroppo anche un’area altamente sismica più volte nel corso della storia le forze della natura si sono accanite con terremoti devastanti, l’ultimo nel 2016 ha completamente rovinato la parte antica della città. La pasta all’Amatriciana secondo alcuni esperti è una variante creativa della Gricia detta anche Amatriciana Bianca ideata dai pastori matriciani che la consumavano abitualmente grazie alla facile reperibilità degli ingredienti fondamentali: il guanciale e il pecorino. Questo piatto sarebbe diventato “matriciana” solo successivamente, alla fine del diciottesimo secolo con l’aggiunta del pomodoro.

Amatriciana

La Cacio e Pepe è un piatto costituito da tre ingredienti ben dosati e mantecati: pasta, cacio e pepe. Il formato di pasta utilizzato sono i “vermicelli” a cui viene aggiunto il condimento: una semplice salsa ottenuta con acqua di cottura, pepe e pecorino amalgamati ad arte. La buona riuscita di questo piatto sta nell’arte della mantecatura.

Cacio e Pepe

Lo Spaghetto alla Carbonara è un piatto piuttosto recente e semplice da realizzare sono sufficienti: guanciale, uovo di gallina, pecorino, pepe e olio. Per evitare l’effetto frittata: l’uovo non va riscaldato in pentola ma va amalgamato lontano dalla fiamma e il pepe va spolverato in abbondanza …forse è proprio grazie a quest’ultimo ingrediente che si deve il nome carbonara da “carbone”. L’origine di questo piatto è tuttora incerta. Alcuni sostengono che sia una pietanza appenninica ideata dai carbonai (carbonari in dialetto romanesco), o che sia una trasformazione del “Cacio e Ova” ciociaro. Altri protendono per una ricetta figlia dello sbarco alleato americano, portata nel Lazio dai soldati statunitensi che la realizzavano adoperando il bacon e che i cuochi romani abbiano sostituito questo ingrediente con il guanciale. Un’altra teoria protende per una ricetta sempre esistita, a livello popolare e mai codificata. La carbonara resta comunque uno dei capisaldi dell’offerta gastronomica romanesca.

Ph Instagram @acomernoselmundo

Spaghetti alla Carrettiera così chiamati perché era il piatto preferito dai carrettieri commercianti che portavano a Roma il vino dai castelli. Si tratta di spaghetti conditi con un sugo fatto di funghi secchi, pomodoro, aglio, prezzemolo e tonno.

Ph Instagram @trattoriapennestri

Gnocchi alla Romana: piatto proposto al giovedì di ogni settimana (il venerdì, piatti a base di pesce e la trippa il sabato). Gli gnocchi vengono realizzati con semolino, burro e formaggio ed il tempo di preparazione è di circa venti minuti.

Ph instagram Alimentari Pacini @alimentari_pacini

Purtroppo, per gli amici vegetariani i Secondi Piatti romaneschi non riescono a soddisfare le loro preferenze alimentari perché fondatati sopratutto sulle bontà delle frattaglie di animali da macello, comunemente dette “quinto quarto”, scarti che solo la fantasia romana è riuscita a nobilitare, con straordinaria creatività.
Durante la macellazione dopo aver suddiviso gli animali in quattro quarti pregiati che un tempo erano riservati ai padroni benestanti, ciò che di commestibile rimaneva era le parti meno pregiato definite “quinto quarto” (interiora, testa, coda e zampette, ecc..).

Da questi tagli, si realizzano piatti semplici e schietti, destinati in passato a sfamare una popolazione che di solito poteva contare su un unico pasto al giorno, che doveva essere nutriente, sanguigno, somministrato generosamente meglio se condiviso in buona compagnia e accompagnato da uno o più bicchieri di vino. Oggi, l’impiego di tagli meno pregiati in cucina, sta vivendo un’autentica “rinascita” perché danno vita a piatti saporiti, versatili e alla base di preparazioni uniche, oltre che ricchi di proteine nobili, ferro biodisponibile, potassio, e generalmente poveri in grassi.
I primi macelli costruiti razionalmente con nuovi criteri tecnici e sanitari, sorsero intorno al 1890, da allora si è avuta una svolta significativa nel miglioramento dell’igiene delle strade dove in precedenza, sangue e interiora di animali, provocavano esalazioni malsane. In prossimità del quartiere Testaccio, dove un tempo sorgevano i primi mattatoi, i lavoranti detti “vaccinari” o anche “scortichini” erano le persone che svolgevano il lavoro più faticoso: scuoiare le carcasse degli animali. Le frattaglie venivano consegnate ai lavoranti dei mattatoi insieme alla paga, come parte del compenso. Questi a loro volta consegnavano i resti di animali agli osti e, visti i tempi di cottura piuttosto prolungati, potevano contare di gustarli il giorno seguente. Alcuni di questi piatti, ancora oggi caratterizzano la cucina romanesca come:

la Coda alla Vaccinara, un piatto povero ma molto saporito che nasce nelle osterie del Rione Regola, dove i vaccinari abitavano. Il piatto consiste nell’utilizzare la coda, il prolungamento della colonna vertebrale, di maiale bue o in alternativa quella di vitello che dopo innumerevoli tentativi di cottura spinta gli osti sono riusciti ad ammorbidire ed insaporire. Questa viene prima fatta rosolare in olio extravergine d’oliva con un classico trito di abbondante sedano, aglio, cipolla e carota. Dopodiché viene sfumata con del vino e fatta cuocere per 5-6 ore con salsa di pomodoro e un po’ di cioccolato amaro. Ben poca carne è presente tra le vertebre caudali del bovino e solo una cottura lenta e alla giusta temperatura riesce a conferirle morbida consistenza. Il sugo poi è un ottimo intingolo in cui immergere fette di pane che di solito accompagnano il piatto.

Ristorante La Canonica – Roma Trastevere

Ph Jarrett Wrisley @wrisjarrett

La trippa in gastronomia viene consumata fin dall’antichità: i Greci la servivano dopo averla cotta a lungo sulla brace. E’ un taglio ricavato dai prestomaci dei bovini, ovini e caprini, ricchissimo di proteine, calcio e fosforo. È un alimento molto digeribile e a basso contenuto calorico. Alto invece è l’apporto di colesterolo. Dagli osti romani viene anche chiamata “cuffia”. La Trippa alla Romana viene cotta in umido, aromatizzata con menta romana e spolverata con abbondante pecorino romano. Molte ricette l’accompagnano alla pasta o la rendono protagonista di minestre e zuppe.

Ph Ristorante da Francesco @dafrancescoroma

La Pajata Laziale ovvero la prima parte dell’intestino tenue di vitello da latte ritenuto più gustoso poiché al suo interno contiene una sostanza ricca e cremosa detta chimo, si prepara alla griglia o alla cacciatora ma è comunemente utilizzata con sugo densissimo ottenuto dalla combinazione di olio, odori classici come cipolla, carota, sedano, aglio e peperoncino dove viene aggiunto l’intestino dell’animale tagliato a pezzi e la passata di pomodoro solo dopo aver sfumato con vino bianco secco. Al termine di una lunga cottura, vengono ripassati in padella i rigatoni cotti al dente con l’aggiunta del pecorino romano grattugiato al momento.
Ph Ristorante da Francesco @dafrancescoroma

Ph La Taverna del Ghetto @latavernadelghetto

La Coratella si intende il complesso di fegato, polmone e cuore di animali di piccola taglia come conigli e agnelli ma anche di animali più grandi. Nel Lazio la Coratella d’Abbacchio con Carciofi, (per abbacchio si intende la carne dell’agnello quando viene macellato ancora giovane) è un piatto dal gusto deciso, ma non eccessivo, dal profumo gradevole e il sughetto di cottura è una vera e propria squisitezza infine viene guarnita da foglie di prezzemolo tritate a coltello. Secondo la tradizione questo piatto non può mancare sulle tavole del pranzo di Pasqua.
Ph La Taverna del Ghetto @latavernadelghetto

Un piatto semplice ma protagonista delle grandi occasioni è l’Abbacchio al Forno alla Romana che si e caratterizzata con l’aggiunta a fine cottura di acciughe dissalate, deliscate e pestate.

La tenerezza dell’agnello da latte caratterizza le costolette dell’Abbacchio a “Scottadito” (o “…allo Scottadito”). Le costolette vengono cotte sulla brace (il termine scottadito si riferisce, appunto, al rischio di scottarsi rigirando la carne) e proposte nel menu pasquale. Per tradizione questo piatto viene servito molto caldo condito con olio e rosmarino e consumato senza utilizzare le posate ed al termine è d’obbligo leccarsi le dita.

Un cavallo di battaglia della cucina romanesca sono i Saltimbocca alla Romana, fettina di vitello con prosciutto crudo e salvia arrotolate e cotte nel burro e vino bianco. L’origine di questo piatto è velata di mistero ma nella gastronomia romana sono conosciuti già dalla fine dell’ottocento.

La Vitella alla Fornara è un piatto preparato con la punta di petto di vitella tagliata in striscioline (ma senza andare fino in fondo), lasciata a marinare per almeno un’ora con aglio, olio d’oliva, rosmarino, salvia, pepe e sale poi viene cotta in forno preriscaldato per un’ora a 180/200°. Durante la cottura inumidire di tanto in tanto con il suo fondo e un mezzo bicchiere di vino bianco, servirla ancora ben calda.

I piatti frutto dell’ingegno della cucina popolare romana sfruttava al massimo un pezzo di carne come il muscolo per ottenere due piatti nutrienti come il Lesso alla Picchiapò che nasce dall’ esigenza di riutilizzare la carne impiegata per la preparazione del brodo sfibrata, asciutta e quasi senza sapore dopo la lunga cottura e il nutriente Brodo di cottura servito nei giorni freddi. Innanzi tutto “Il lesso” è ottenuto immergendo in acqua fredda il muscolo di manzo con un osso (di solito il ginocchio), sottoposto ad una lunga cottura con gli odori classici. Dopo aver ottenuto un profumato e saporito brodo, la carne viene riciclata tagliata a pezzi, “picchiettata” (qui, Picchiapò) e resa appetitosa dopo averla ripassata in una salsa di cipolle stufate con il pomodoro, patate bollite e pane casereccio.

Il Pollo con Peperoni è un tipico piatto della cucina tradizionale popolare, servito in particolare a Ferragosto e unisce il sapore delicato del pollo, all’ aroma ricco del peperone che di solito viene cucinato a parte e unito alla carne bianca solo dopo la cottura.

La Zuppa di Crostacei segue lo stesso discorso del “quinto quarto” delle carni, è un piatto dalle origini povere realizzato esclusivamente con le parti del pesce rimaste invendute o di scarso valore.

Tra i prodotti da forno conosciamo la Pinsa Romana un’eccellenza che viene controllata e tutelata dall’ “Associazione Originale Pinsa Romana” nata proprio con il compito di tutelare e far rispettare la qualità di questo prodotto ottenuto dall’ impasto di acqua fredda, farina di frumento, soia, riso, sale, olio, lievito madre essiccato. L’impasto viene sottoposto a lunghissima lievitazione.

Un altro prodotto da forno tipico laziale da segnalare è la Scrocchiarella Romana una pizza bianca chiamata anche “focaccia” molto leggera e croccante, utilizzato come antipasto o come stuzzichino prima delle portate principali.

Le Coppiette Romane sono stuzzicanti striscioline di carne di maiale tagliate, condite con sale, spezie naturali e stagionate per circa due mesi offerte come antipasto e nate nel territorio della Ciociaria. Il gusto è leggermente piccante e in passato erano utilizzati come “snack proteico” durante i lunghi spostamenti.

La Porchetta di Ariccia è tipica dei Castelli Romani e per sua preparazione viene disossato un maiale intero, condito con spezie, rilegato da spaghi e cotto per 4 ore. Al temine viene tagliato in a fettine molto sottili e servito caldo oppure utilizzato, per farcire panini nello steet food.

Il Supplì è una polpetta fritta di forma allungata con una panatura esterna croccante e compatta e al suo interno è realizzata con riso bollito condito con sugo rosso di carne e mozzarella. Il buffo nome probabilmente è dato dalla mozzarelle, presente all’interno, che fila e si allunga quando viene spezzato a metà, proprio come un vecchio filo del telefono fisso. E’ un prodotto presente nelle friggitorie romane o servite come antipasto. Non va confuso con l’arancino siciliano.

I piatti proposti possono essere piacevolmente accompagnati dall’ immancabile Frascati Doc e Docg, proveniente dai vigneti della zona dei Castelli Romani.

Alcune proposte DOLCI imperdibili se si è a Roma sono il Maritozzo (talvolta con uvetta) mangiato per lo più a colazione e volendo si può farcire con della freschissima panna montata.

foto di @martylukk

Il Pangiallo (o pancialle) un dolce tipico Laziale che ricorda la forma del sole, di solito preparato il giorno del Solstizio d’Inverno come buon auspicio del ritorno alle lunghe giornate di sole. Questo dolce è a base di Miele, Frutta secca, Pinoli, Cedro candito e Cioccolato Fondente (in pezzetti) per la copertura gialla:olio EVO, zafferano e farina.

La Pizza Cresciuta è soffice all’interno e più dura all’esterno, si mangia  la mattina del giorno di Pasqua accompagnata dal tipico salame  “La Corallina” (origine umbra, molto utilizzato nella Capitale) unitamente a uova sode e cioccolata calda.

La Grattachecca Romana è una bibita ideale nelle caldi estate romane è a base di ghiaccio tritato unito a succo di frutta o sciroppo. Il nome deriva da “grattare” la “checca” come venivano chiamati i grossi blocchi di ghiaccio utilizzati per conservare gli alimenti.

Roma “città eterna” grande e moderna metropoli centro spirituale e politico di tutto il mondo per il suo museo a cielo aperto che narra la storia, la cultura, l’arte e archeologia, risulta essere una delle location più visitate al mondo. Roma ospita tutte le principali istituzioni della nazione oltre che delegazioni diplomatiche e organizzazioni internazionali come la FAO e il WFP. Ha nella sua storia l’incontro e lo scontro con le più importanti civiltà. E’ la prima metropoli dell’umanità, cuore pulsante del sapere, sapore e della convivialità. Dalle fonti conosciamo pasti frugali e cene imperiali che nel tempo hanno lasciato spazio al rinnovamento gastronomico con l’affermazione di ricette romane popolari in tutto il mondo.

Il panorama eno-gastronomico della CUCINA tradizionale ROMANA lascia uno spiraglio alla cucina romana moderna che ingentilisce i sapori autentici delle tradizioni. Forniamo alcuni suggerimenti, per conoscere la cucina romana attraverso chef premiati che contribuiscono ad innalzare il livello qualitativo, mostrando attenzione ai dettagli, nel rispetto della materia prima: Migliori ristoranti Roma